sabato 31 agosto 2013

La scuola non dovrebbe né premiare né punire, ma preparare alla vita

Preparare alla vita non significa abituare ad affrontare test aventi natura artificiale e congenere a quelli della scuola, cioè abituare ad una componente arbitraria della "vita reale'', creata ad hoc ed utile alla società umana solo come sistema di classificazione e "iniziazione" ereditato dalle società primitive, nonché strumento di esclusione e controllo forzoso dei dislivelli sociali.
Prepararsi alla vita significa abituarsi a conoscere, cioè osservare e interpretare la realtà tramite linguaggi più evoluti di quelli che forse si impiegheranno mai nella vita reale, e acquisirne una padronanza tale che questi riescano a costituire un "filtro" adeguato e uno "scudo" sufficientemente robusto da garantire, oltre allo sviluppo intellettuale ed affettivo, autonomia e libertà all'individuo. Per questo è necessario un ambiente speciale, protetto, una governance, e professionisti adeguati: esperti di quei linguaggi e della loro didattica e valutazione, con competenze affettive e passione adeguate, sia per l'insegnamento, sia per la disciplina d'insegnamento e per la conoscenza in generale.
Ciò è quanto rende necessaria l'esistenza della scuola. Per tutto il resto le pratiche della scuola non dovrebbero differire da quelle che regolano il funzionamento delle comunità che nella società generano pensieri, servizi e cose utili a garantire la sopravvivenza e possibilmente ad arricchire il genere umano e il suo ambiente.

Alla luce di questi principi, come si dovrebbe fare la valutazione scolastica? Con quale funzione? Per esempio, quale potrebbe essere un'impostazione utile per i cosiddetti esami di "riparazione"?

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